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Twitter: ovvero come ‘cinguettano’ i calciatori.

4 Dic

Twitter, come molti di voi sapranno, altro non è che un nuovo modo di comunicare on-line. Vero è che in Italia è più noto Facebook, ma poco a poco sta prendendo piede – è proprio il caso di dirlo visto quanto ci sono affezionati i calciatori – anche Twitter: un mix tra un micro-blog e una fan-page del colosso di Mountain View. Considerato una vera e propria fonte di informazione, Twitter, è scandagliato con minuziosa pazienza da giornalisti di tutto il mondo. La ricerca? Beh può variare da notizie dell’ultima ora direttamente da Piazza Tahrir, a ben più frivole ‘news’ sul tram tram del calciatore di turno in ritiro. Curiosi: guardiamo cosa ‘cinguettano’ (tweet in Inglese vuol dire cinguettio) i calciatori, mai termine è stato più appropriato per definire una categoria in cui i più son giovinastri viziati ed egocentrici. Tra parentesi: che la smettano di venderci Messi o chicchessia come San Francesco please. 

Primo dato: Messi non ha Twitter, ha sì un profilo in Facebook, ma è chiaramente gestito dal suo responsabile immagine (foto delle nuove scarpette f50 Adidas, video professionali dei suoi gol). Uno dei pochi a usare Facebook in prima persona è Iker Casillas che ad esempio pubblica – oltre alle immancabili immagini pubblicitarie – foto scattate dal suo cellulare durante i ritiri. Il suo rivale azulgrana Victor Valdes ha da poco pubblicato su Twitter e su Facebook la foto del premio come miglior portiere della Liga 2010-2011. Iker impegnato com’era nella presentazione del suo libro “Un campione di umiltà” si sarà sicuramente dimenticato di fargli i complimenti, o no?

Ma il caso della settimana è il ‘baronetto’ Cissé, finito in prima pagina per gli insulti lanciati dal suo Twitter a ‘tifosi’ altrettanto poco educati. L’attaccante laziale ha tentato poi di rimediare scusandosi e precisando che rispetta i tifosi della Lazio e che s’impegnerà per fare meglio.

Sabato sera, invece, lo juventino Chiellini ci avvisa che va a letto presto in vista dell’impegno domenicale contro il Cesena, definendolo una “partita molto importante”. Di tutt’altro genere i tweet di Sneijder che, finito l’allenamento del venerdì pensa al succulento pranzetto preparatogli dalla moglie, e si dimentica di fare un in bocca al lupo ai compagni in partenza per Udine. Dov’è finito il gruppo unito di Ranieri?

Forse Claudio dovrebbe imparare da Mourinho che nell’Inter come nel Real Madrid è riuscito a creare un squadra affiatata dentro e fuori dal campo. Prova ne sono oltre che il rendimento dei blancos, anche la goliardia tra compagni, vedi alla voce Sergio Ramos e i capelli di Pepe.

Ahimè chiudiamo con il triste tweet di Robinho che saluta Socrates, scomparso a causa di un’infezione dovuta alla cirrosi epatica che lo aveva costretto a tre ricoveri negli ultimi quattro mesi. Ex centrocampista del Corinthians, della Fiorentina e della nazionale brasiliana, il ‘Dottore’ così chiamato per la laurea in medicina, se n’è andato a soli 57 anni.

Bernabeu vs Juventus Stadium, Spagna vs Italia.

16 Nov

Gli stadi italiani, si sa, in Europa non spiccano certo per essere belli o all’avanguardia. In occasione di Italia’90, ovvero più di vent’anni fa, si investirono palate di soldi per ammodernare gli stadi esistenti, né Milano o Torino, né Napoli o Roma ebbero in ‘dono’ un nuovo stadio. Il San Paolo di Napoli e l’Olimpico di Roma nonostante ciò hanno tutt’ora una pista tra gli spalti e il terreno di gioco. Il ringiovanimento allo stadio Meazza di Milano invece aggiunse un terzo anello e una copertura per gli spettatori in caso di intemperie, provocando grattacapi tutt’ora irrisolti ai giardinieri di San Siro. La sofferenza delle zolle è aggravata da una stagione calcistica ininterrotta: a San Siro si gioca quasi due volte a settimana di media. Il Meazza, infatti, è lo stadio sia dell’Inter che del Milan. Provate a raccontarlo all’estero, faticheranno a credervi. Non sanno che in Italia gli stadi di proprietà sono una rarità. Non sanno che Inter e Milan ‘affittano’ la Scala del Calcio al comune di Milano. In Spagna, come in Inghilterra, gli stadi sono di proprietà. E se è vero che il Bernabeu ha una sessantina d’anni, altrettanto vero è che non li dimostra affatto, merito dei continui lavori di rinnovamento. Inoltre nonostante il terzo anello, il clima continentale e lo smog – lo stadio delle Merengues si trova infatti a fianco di una grande arteria stradale a 8 corsie che parte da piazza Colombo al centro finanziario di Madrid – il manto erboso è sempre in condizioni perfette. Ma qualcosa si sta muovendo in Italia, la Juventus ha da poco inaugurato il nuovo stadio. La dirigenza della Vecchia Signora ha voluto regalare ai tifosi uno stadio europeo, privo di barricate e filo spinato a dividere il campo. Costruire uno stadio accogliente, integrandolo con un centro commerciale dotato di ogni comodità fa lievitare le entrate, vera spada di Damocle dei club italici.

Entrate e competitività. Nella stagione 2009/2010 infatti il Real Madrid incassò 129 milioni di euro da biglietti e abbonamenti venduti, mentre il Barcellona 97,8. Quanti ne incassarono Milan e Inter? Rispettivamente 31 e 38,6 milioni di euro. La Juventus non giocando la Champions League solo 16,9 (fonte: Football Money 2011). Un plauso quindi al nuovo Juventus Stadium dove oltre a vedere la partita – lusso garantito solo a 41.000 spettatori, per la verità pochi per una squadra fino all’altro ieri protagonista in Champions League – si può fare un giro tra bar, ristoranti e negozi. Ma in Italia le ciambelle è difficile che escano col buco: il 20 ottobre la notizia che la Procura di Torino indaga su una presunta fornitura di acciaio non a norma, per il quale il club è parte lesa. Decisamente meglio di quello che è capitato al Valencia, dove i lavori per il Nou Mestalla sono fermi da due anni per i debiti del club e la crisi immobiliare.

La differenza tra le entrate dei top club italiani e spagnoli è uno dei fattori che incide ad aumentare il divario tra le squadre dei due paesi. Più volte Adriano Galliani ha sottolineato l’esigenza di stadi di proprietà, che come evidenzia lo studio Deloitte, sono insieme al merchandising – e non ai diritti tv – il fattore che rende le nostre squadre meno top rispetto a club spagnoli o inglesi. In Spagna il merchandising – inglesismo che sta per magliette, cappellini e una serie infinita di ammennicoli con i colori sociali – viene venduto a carrellate ai turisti che visitano Madrid o Barcellona. Tanto che un salto al museo del Santiago Bernabeu o del Camp Nou è diventata una tappa obbligata nel tour della città. Appassionati di calcio e non, giovani e meno giovani, uomini e donne pagano fino a 15 euro per entrare in uno stadio deserto, e all’uscita portafogli sgonfi e borse colme di ammennicoli. Ma i club spagnoli non spremono solo i loro tifosi, al contrario li coccolano. I tour prevedono foto ricordo in sala stampa e sulle panchine, coppe luccicanti e  scatti di ogni epoca, visita a lussuosi spogliatoi e aree multimedia con video touch-screen e ogni altra diavoleria tecnologica. Notizia di questi giorni è che i tifosi del Real Madrid potranno godere di un’esperienza multimediale completa prima e durante le partite casalinghe. Il club merengue infatti ha stipulato un accordo con Cisco per fornire lo stadio di una connessione wi-fi personalizzata. Oltre a installare numerosi schermi HD collegati con la regia dello stadio, i tifosi potranno collegarsi gratuitamente coi loro smartphone e accedere a contenuti esclusivi. La connessione internet inoltre permetterà di alleggerire la rete gsm in difficoltà quando lo stadio è pieno. Infine sono allo studio anche nuove strategie di comunicazione (marketing, ma anche legate alla sicurezza dello stadio) attraverso la nuova rete. Ah dimenticavo il tutto al calduccio grazie al sistema di riscaldamento installato da qualche anno sotto la copertura dello stadio. Vive l’Espagne e Forza Italia! Non politicamente parlando s’intende.

Votate il nuovo articolo del blog “pallonaro” di Enrico Marini!

25 Ott

Eto’ e Pirlo, storie agli antipodi. Parte II

24 Ott

La “E” dell’Effetto Andrea Pirlo non ha niente a che vedere con gli spin-doctors che ormai hanno invaso il mondo del calcio. Il laconico Andrea, non riempie le pagine dei quotidiani sportivi con dichiarazioni roboanti, ma all’asciuttezza del suo verbo fanno da contraltare le sue prestazioni sul campo. Sette partite in una squadra nuova e con un allenatore esordiente in Serie A: risultato media voto 7, condita da tre assist. Assistenze, come si diceva una volta, che a ben vedere sarebbero quattro se contassimo il velo che ha mandato in tilt la difesa genoana propiziando il gol di Matri. Ma i numeri di sabato sera parlano ancora più chiaramente. Il campione bresciano dal passo felpato, ha preso in mano le redini del centrocampo bianconero: 103 i palloni toccati contro il Genoa e 12 imbeccate per i suoi compagni. Come scrive Andrea Schianchi, i 12 lanci non sono andati tutti a buon fine, “ma per questo non si può incolpare Pirlo”.

Infine eccovi le battute finali di questo pedante e parzialissimo post a puntate. Eto’ vuol dire scatti e gol da strabuzzare gli occhi. Eto’ è la forza di rivalsa che ha corso a grandi falcate da un passato di povertà a un presente di lusso sfrenato. Arrivato al Barcelona disse: “devo correre come un negro per guadagnare come un bianco”, ora i suoi colleghi impallidiscono di fronte al suo stipendio. E allora lasciamolo correre, le sue lunghe leve a tutta velocità sono tutt’ora uno spettacolo per gli appassionati di calcio. Pirlo è invece l’artefice di traiettorie meravigliose e di parabole inimmaginabili alle scarpette di compagni e avversari. È un ragazzo di paese che si è fatto grande, lo si vede anche nel gioco: i suoi piedi non si staccano mai molto da terra. Ma non per questo le sue veroniche – disegnate sempre da piccoli passi – sono meno efficaci.

Pirlo ed Eto’ sono il bello del calcio, due storie agli antipodi. In primo luogo per i nefasti effetti della loro assenza per le rispettive “ex”. Inter e Milan infatti hanno sofferto un inizio di stagione decisamente preoccupante. E se nell’ultima settimana sembrano migliorare i risultati, il gioco continua a preoccupare. Due vittorie a testa contro avversarie di seconda categoria (e non me ne vogliano i tifosi del Lecce e del Chievo, dei supporters di Lille e Bate Borisov me ne infischio, dubito leggano questo strambo e intonso blog). Ma lasciamo al prossimo post una più attenta disamina del mercato e del gioco delle due Milanesi.

Chiudiamo con Eto’ sinonimo di stravaganza nel vestire, falcate veloci e rasoiate a mezzo stampa e con la “P” di Pirlo come la provincia nella quale è cresciuto, la pacatezza delle sue poche parole, i palloni infilati nel sette da distanze siderali. Pennellate di un pittore che, capovolgendo il significato dell’accezione: dipinge coi piedi.

Eto’ e Pirlo, storie agli antipodi. Parte I

7 Ott

Stupore e incredulità: queste sono state le reazioni del trasferimento di Samuel Eto’ dall’Inter allo sconosciuto Anzhi. E se aggiungessimo un pizzico d’indignazione e una spruzzata di delusione avremmo la combinazione perfetta per il passaggio in bianconero di Andrea Pirlo. Ma cominciamo con ordine, vale a dire dalla “E” di Eto’: tra i tifosi del Biscione, e non solo, l’effetto sorpresa è dovuto dal fatto che Eto’ a soli 30 anni avrebbe potuto proseguire, se non all’Inter, per lo meno in un top club europeo. Invece ha deciso di passare dall’ombra della Madonnina alla distesa gelata della Piazza Rossa; dai 40 km che separano Appiano Gentile dallo stadio di San Siro ai 1600 km che separano il centro d’allenamento di Mosca da Machačkala (sede dell’Anzhi). Già perché la capitale del Daghestan, appunto Machačkala, è considerata poco sicura, e inadeguata allo shopping di milionari attratti invece dal lusso estremo offerto alle pendici del Cremlino. Così la squadra si allena a Mosca e vola per le partite casalinghe nella regione autonoma del Daghestan. Vero è che gli assegni del Camerunense erano e sono firmati da un petroliere: l’allampanato Moratti prima e l’arrivista Kerimov ora. E che l’ago che ha fatto pendere la bilancia in favore del fino ad allora sconosciuto Anzhi sono stati i soldi: dai 10 milioni di euro elargiti dal patron dell’Inter ai 20 milioni del generosissimo Kerimov. Tanto di cappello quindi ad Eto’ che recentemente ha detto: “quelli che dicono che non si muovono per soldi sono solo degli ipocriti”. Decisamente in contrasto rispetto a quanto afferma nella intro del suo sito:“con il tempo ho imparato che la vera ricchezza riposa in ognuno di noi”. Per di più qualche settimana fa, mal consigliato dal suo ego smisurato o dal suo spin-doctor di fiducia, disse: “Con questo contratto dimostro ai ragazzini africani che tutto è possibile e che basta darsi i mezzi per riuscire”. Per poi rincarare: “Il proprietario del club associando la sua volontà al mio talento ha permesso che il sogno di migliaia di africani diventasse realtà”Diciamo che Eto’ non doveva dimostrare niente a nessuno. Dopo aver giocato per i migliori club europei con contratti a sette zeri e sponsor che fioccano, il Camerunense è già di per sé un modello a seguire. Del resto sono anni che i giocatori di colore non sono discriminati dai presidenti al momento di firmare l’ingaggio, come dimostrano gli studi di Stefan Szymanski citati nel libro “Calcionomica”Stendiamo un pietoso velo, poi, su quello che crede sia il sogno di migliaia di bambini africani. Ma Eto’ è anche l’uomo dal grande sorriso, l’uomo che ha preso a calci il razzismo. Quando giocava nel Barcelona ha avuto il coraggio di criticare la campagna anti-razzista della Nike, sponsor tecnico degli azulgrana. Consigliamogli quindi di cambiare spin-doctor, perché le sue ultime dichiarazioni, invece di metterlo sotto una luce favorevole, non hanno fatto altro che produrre un effetto boomerang…to be continued…